Epifanie

ImageA una decina di giorni dall’uscita dall’ospedale, con la benedizione dei neurochirurghi, mia zia mi tolse delicatamente il cerotto a protezione della ferita, con uno strappo che manco la ceretta all’inguine.
Facendomi due conti (evidentemente senza l’oste), mi ero preparata a un’incisione di circa 6 o 7 centimetri.
No. Non sono sei. Non sono dieci.
Sono diciassette. Di-cias-set-te. Misurati.
Per molti giorni ho inconsciamente e erroneamente maturato astio verso una cicatrice che reputavo esagerata.

Fino ad oggi.

Nel pomeriggio ho ritirato le lastre di controllo.
A seguito inenarrabili difficoltà (perché la tecnologia ci impone di mettere tutto su cd-rom inespugnabili, ormai) sono riuscita a visualizzare le immagini della mia schiena e, quindi, l’impianto che degli abili ferramenta han messo su.
D’improvviso quei diciassette centimetri hanno avuto un senso. In un momento. Manco Joyce ha mai avuto esperienza di tanto, mi sa.

Ho visto viti che neanche i pensili della mia cucina hanno conosciuto.
Tra qualche mese ci appendo uno scaffale e via. Tanto regge sicuro.

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