Il ronzio

foto copiaMolti forse (a ragione) non apprezzeranno, ma le descrizioni verbali, a volte non bastano come premesse. Questa foto è la mia premessa, oggi.
Questo è la mia schiena, dal di dentro. Con tutte le sue app installate su misura il 30 gennaio scorso.
Sono queste immagini le responsabili di una delle epifanie più travolgenti della mia vita.

Mi dicono che son nervosa. A dir la verità, me lo dico pure da sola.
Basta un attimo e passo dall’essere uno scimpanzé neonato e mattacchione alla ferocia di un Rottweiler affamato e gettato in un’arena da combattimento.
Un attimo, proprio.

Il fatto è che, esattamente al centro del mio corpo, in corrispondenza dell’incrocio dei punti medi di altezza, larghezza e profondità ho un dolore difficile da rendere a chi, dentro la mia schiena e il mio cervello, non ha occasione di passare.


A onor del vero, non è che mi trovo mai a urlare dal male o ad arrivare a un punto tale da ingurgitare narcotici come neanche Jesse Pinkman nei suoi momenti più bui. È un dolore sordo, di sottofondo. Costante. Ventiquattro ore al giorno.

Mi sdraio, cammino, mi siedo. Niente da fare. È lì, che ronza. Sì, un ronzio di dolore.
Un ronzio che dalla schiena risale fino al cervello, mandandolo in tilt.
O forse è forte, un grido più che un ronzio, un grido costante, con tanto di eco. Ma forse proprio la sua costanza e la sua minore intensità rispetto ai dolori iniziali lo fanno percepire alterato al cervello.

Oggi ho ceduto, dopo quasi sei settimane di nulla. Paracetamolo e codeina.
Ma ronza lo stesso.
Fatto sta che ho l’istinto di spalancarmi la schiena a mani nude e di strappare via tutto. Più volte al giorno.
Ed è solo lunedì.

Forse impazzirò.
Vi faccio sapere.

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